La Memoria sparita..
“Due Immagini a confronto, per capire a colpo d’occhio com’era prima di oggi, l’area di Piazza Venezia ..
Oggi in piazza Venezia il Vittoriano… ma nessuno più ricorda come erano un tempo le pendici del Campidoglio, il monumento spicca nel cuore della città con il biancore abbagliante del calcare di Botticino bresciano, che brilla ancor di più grazie alla luce cristallina dell’azzurro cielo romano.
Un bianco che contrasta con quello più pacato del travertino locale, tipico dei monumenti romani, sin dall’antichità classica.
Demolizioni ai piedi del colle
Per la costruzione del monumento infatti, furono demoliti interi quartieri medioevali e rinascimentali, rasi al suolo il convento dell’Ara Coeli, la torre di Paolo III e il viadotto che la collegava a Palazzetto Venezia.
La casa di Michelangelo e di Giulio Romano, la bottega di Pietro da Cortona. Scomparvero anche l’antica via della Pedacchia, via Macel de’ Corvi e il vicolo di Madama Lucrezia.
demolizioni a via di san marco
La Torre di Paolo III
La Torre, annessa al Convento Francescano dell’Ara Coeli
(di cui fu demolita la quasi totalità delle strutture) era situata originariamente ai piedi della Basilica, sul lato Nord del colle (rivolto a Via del Corso).
Prende il suo nome dal pontefice Paolo III che ne decise la costruzione subito dopo la propria elezione, per rimarcare l’importanza del potere papale sulla città.
Il suo uso era di abitazione estiva per il pontefice, ma venne anche usata come residenza cardinalizia per decisione di Giulio III infine, Sisto V la assegnò definitivamente ai francescani di Aracoeli.
Nel 1886 fu uno dei primi edifici ad essere abbattuti per la costruzione del Monumento a Vittorio Emanuele .
L’edificio si trovava in posizione dominante l’estremità sud di Via del Corso, appena sopra Palazzetto San Marco (a cui era collegata da un corridoio), e occupava approssimativamente la posizione dell’attuale statua equestre del re.
L’abbattimento della Torre e delle storiche strutture attigue vide, all’epoca, lo scambio di aspre polemiche tra numerosi studiosi e intellettuali, non solo italiani.
Clivi, rampe…piccole scalinate, vicoli e svolte tra case e piccoli orti e corti interne. Case modeste e piccoli gioielli del medioevo incastonati tra la piazza ed il colle Capitolino…
Questo lo scenario irripetibile perduto per sempre nelle demolizioni; una stratificazione storico-urbanistica chiamata Roma.
Edifici che oggi restaurati varrebbero una fortuna al pari di quelli simili sparsi nei luoghi cult del centro storico.
Il passetto di Paolo III collegava Palazzetto Venezia con la torre, lambendo edifici e ballatoi, di tutto ciò rimane ben poco perchè volutamente si è voluto cancellare un volto di una città Millenaria in cambio di un marchio Sabaudo da imprimere alla novella Capitale Italiana.
Palazzo Torlonia-Bolognetti
Prima della “grande piazza” c’erano alcuni palazzi, tra i quali quello che i Torlonia avevano acquistato nel 1807 dai Bolognetti, e trasformato in una vera reggia.
il complesso di palazzi abbattuti per allargare la piazza e realizzare il Palazzo delle Assicurazioni era costituito da tre palazzi affiancati con una storia molto articolata.
partendo da via del Corso verso il futuro Vittoriano si chiamavano nell’ordine:
Palazzo Frangipane-Vincenzi
Palazzo Bolognetti-Torlonia
Palazzo Paracciani-Nepoti
Solo la porzione centrale dunque era palazzo Torlonia.
La prima porzione, Frangipane Vincenzi adibito ad abitazioni, venne abbattuto per l’allargamento di via s. Romualdo.
Scrive Porena Manfredi nel suo libro su “Roma nel decennio 1880-1890” che per molti anni la zona (o meglio la facciata monca rimasta) si presentava come un “edifizio diroccato come per terremoto”.
Per un secolo, Palazzo Bolognetti-Torlonia è stato uno dei più fastosi d’Europa: pieno zeppo di opere d’arte, qui i principi davano i loro celebri ricevimenti.
Secondo Stendhal (1827) le feste dei Torlonia erano sicuramente più belle e meglio organizzate di quelle di quasi tutti i sovrani d’Europa, addirittura superiori ai balli dati da Napoleone.
Qui si incontravano gli appartenenti alle famiglie aristocratiche più prestigiose: il re di Baviera, il granduca Alessandro di Russia, il Granduca di Toscana, i re Borboni, il duca di Sutherland, il granduca di Baden.
Per la ristrutturazione del palazzo, i Torlonia avevano chiamato i migliori artisti del tempo: Giovan Battista Caretti (per la ristrutturazione architettonica), Francesco Podesti (per gran parte della decorazione pittorica), e poi Canova, Thorvaldsen, Tenerari, Cognetti. Il meglio del Neoclassicismo. Un solo palazzo europeo poteva essere paragonato a questo Torlonia, quello di Ludovico di Baviera a Monaco (almeno, così si diceva…). Prima della distruzione, le opere conservate nel palazzo e le sue decorazioni vennero fotografate, gli affreschi staccati dai muri e venduti all’asta, la mobilia dispersa. Le poche cose salvate si possono oggi ammirare nel Museo di Roma a Palazzo Braschi, ma la maggior parte delle decorazioni, distrutte, vive solo nelle rare foto, |
Il piano nobile era il più sfarzoso. Qui c’erano la Galleria di Teseo,la Sala di Psiche, la Sala di Diana e la Sala di ricevimento (attualmente ricostruita dentro il Museo di Palazzo Braschi come “alcova”, foto a), magnifici saloni dove conversare e farsi ammirare (foto b).
Palazzetto Venezia
Il Palazzetto era originariamente collegato al vicino (e più noto) odierno Palazzo Venezia, quando entrambi erano indicati come due fabbricati tra loro adiacenti del “Palazzo San Marco”, come pure “San Marco” era il nome della piazza.
Il Palazzetto era pure direttamente collegato alla demolita Torre di Paolo III tramite un caratteristico lungo arco colonnato detto Arco di San Marco, anch’esso oggi scomparso.
Questa la vera Piazza con palazzo e palazzetto a 90 gradi Palazzetto venezia in piazza san marco come era.. a sinistra San Marco, in fondo l’arco omonimo e passetto di paolo III addossato
L’ antico Palazzetto venne demolito nel 1909 a causa dei lavori di allargamento della Piazza e della valorizzazione del costruendo monumento funebre dedicato a Vittorio Emanuele II.
Pertanto, il palazzetto venne ricostruito, con diverse e sostanziali modifiche architettoniche (in particolare, la caratteristica e inconsueta pianta trapezoidale divenne infine quadrata).
A lato dell’ampliata piazza Venezia, ovvero dal lato opposto alla Basilica di San Marco rispetto alla posizione precedente, dove tutt’ora è situato.
demolizione del palazzetto Il palazzetto smontato ..sara ricostruito dove oggi lo conosciamo Giardino davanti san marco Le arcate del passetto scoperte durante le demolizioni L’area del cantiere ed il passetto
Sede diplomatica della Serenissima repubblica di Venezia sino alla caduta di questo stato avvenuta col Trattato di Campoformio, successivamente diventa sede diplomatica del subentrato Impero Austro Ungarico.
Infine, nel 1916 diventa proprietà dello stato italiano: nel 1925, sotto il Ventennio, venne utilizzato come residenza per funzionari pubblici e sede di rappresentanza.
si demolisce palazzetto Venezia Palazzo Torlonia non c’e più, dal vuoto lasciato, questo scatto raro da via della ripresa dei berberi Da sinistra : arco e passetto, palazzetto e palazzo venezia. stessa angolazione L’area del palazzo Torlonia demolito è visibile dal marciapiede ancora al suo posto
Ad oggi, viene utilizzato per iniziative culturali, quali mostre d’arte temporanee e vi trova la sua sede principale la “Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale” https://www.sioi.org/
Il Passetto di Paolo III
le arcate del passetto tra Pedacchia e vicoli limitrofi
le arcate del passetto tra Pedacchia e vicoli limitrofi
le arcate del passetto tra Pedacchia e vicoli limitrofigli ultimi giorni dell’arco
Un corridore costruito su alte arcate collegava Palazzetto Venezia alla Torre di Paolo III; un passetto al pari di quello di Borgo, costruito dai Farnese.
Esso si inerpicava sul colle, fiancheggiato da palazzi medioevali e del rinascimento, scavalcando via della Pedacchia (poi via Giulio Romano) e Macel de Corvi.
Tutto fu demolito in primis per spianare l’area dove sorse il cantiere per il Vittoriano e di tutto ciò rimangono poche testimonianze iconografiche.
Un Monumento scopertco nel 1888 nell’angolo
tra via di S. Marco e Macel de Corvi, cui già
accennato: comunemente interpretato
con il sepolcro della famiglia dei Claudi.
I quali ebbero dal senato il permesso di costruirlo alle pendrci del Campidoglio:
Recentemente e stato localizzato altrove il sepolcro di questa famiglia: infatti nel 1615 fu ritrovato presso il tempio di Bellona, nell’area del
Teatro di Marcello, un vaso in alabastro già destinato alle ceneri di P. Claudius Pulcher.
Resta Romane rinvenute durante le demolizioni a via Giulio Romano (Gia via della Pedacchia) Via della Pedacchia il passetto ed a destra il cantiere per il Vittoriano le arcate del passetto dopo le demolizioni degli edifici l’Area dietro la palizzata a sinistra..il cantiere a via della Pedacchia Piazza S.Marco alle spalle di Palazzetto Venezia verso via della Pedacchia
Via della Ripresa dei Berberi
Il toponimo deriva dal luogo finale della corsa dei Cavalli Berberi, dove venivano appunto fermati e presi, durante il Carnevale Romano.
Partendo da Piazza del Popolo percorrevano 1947 metri in circa 3 minuti e mezzo percorrendo Via del Corso tra la gente assiepata ai bordi.
Una sorta di mix tra Pamplona e palio di Siena. Nel Carnevale 1874, un giovane attraversando avventatamente la strada , fu travolto da due berberi lanciati proprio sotto gli occhi dei Reali.Vittorio Emanuele II abolì la manifestazione che da allora non venne più ripetuta.
Casa di Giulio Romano
Oltre le fotografie d’approccio, di questa veduta abbiamo pure un bozzetto preparatorio
all‘acquarello.
Un guazzo efficace, firmato da Roesler Franz nel 1375, con questa annotazione: “Casa di Giulio Romano avanti la sua demolizione. Palazzetto di Venezia in fondo”. Una demolizione che: avverrà molto più tardi e ne darà avviso anche Costantino Maes ai lettori del suo Cracas, nel settembre 1888.
“Il piccone – scriveva, sta per consumare I‘eccidio della casetta di Giulio Romano (dov’era anzi stata posta di recente una lapide per ricordarla
ai posteri), il più illustre discepolo di Raffaello.
Questa casa – proseguiva – presso Macel dei Corvi, singolare ed elegante nella sua povertà, è: una delle pochissime dall’epoca. Spettro fugace – si lancia poi – di quell’Era beatissima quando imperava lo scettro d‘oro del Bello Artistico”.
Benvenuto Gasparoni descriveva a sua volta quella casa, di manifesto aspetto medioevale, “piccola ed antichissima; facciata spartita nella sua altezza in tre parli da due file di arcucci a sesto acuto che: facevano mostra di togliere sui muri del secondo solaio e del tetto.
Le antiche finestre che erano in ciascun piano si vedevano murate, (proseguiva quello studioso). Si mostravano ad arco acuto e piccolissime, come dimostravano le loro vestigia, che tuttavia si scorgevano nel primo piano.
In mezzo ad essi si aprì poi una finestra irregolare, che dalle graziose proporzioni del suo vano e dalle belle modanature degli stipiti di travertino che la rigiravano, dimostrano fosse stata fatta nel secolo XVI in seguito ad un restauro”.
Palazzo Desideri
Sullo sfondo dei fasti dell’inaugurazione palazzo Prima e dopo le demolizioni per i Fori Imperiali Palazzo Desideri poco prima delle demolizioni
Palazzo Desideri era nell’angolo tra Via della Ripresa de Barberi, Piazza Venezia, e Via Macel de Corvi (Piazza della Colonna Traiana) o Madonna di Loreto.
Sopravvisse alle demolizioni per il Vittoriano, ma non per quelle della via dell’Impero (via dei Fori Imperiali)
Vista dalla Colonna Traiana Mappe Catastali Palazzo Desideri a sinistra del plateatico costruendo del Vittoriano S.Maria di Loreto, la Colonna Traiana ea sx Palazzo Desideri 1923
…Poi venne “il Biancone”
I Romani nella loro innata vocazione al sarcasmo lo hanno chiamato in mille modi, ma i più usati e tutti in senso dispregiativo furono il “Biancone” o “Macchina da scrivere”, per il suo candore fuori contesto con i colori della Città e la sua somiglianza nelle forme..
Come nasce l’idea di trasfigurare un luogo così denso di storia e stratificazioni urbanistiche, per erigere un tale manufatto in così evidente distonia cromatica ed urbanistica?
Bisognerebbe tornare al sentimento popolare della Novella Italia unita, delle sue motivazioni e di ne fu famoso (o famigerato?!) artefice: Vittorio Emanuele II.
Il 9 gennaio del 1878 la notizia improvvisa e inaspettata della morte del sovrano colpì tutta l’opinione pubblica.
Moriva il re che, a 57 anni d’età e quasi 29 di regno, era stato protagonista della grandiosa epopea del riscatto nazionale.
L’immagine che si divulgò fu quella di un eroe, di un re investito di una missione provvidenziale a cui tutta la popolazione d’Italia era legata da un rapporto quasi filiale.
Illustrazioni d’epoca
Illustrazioni d’epoca
L’ organizzazione delle cerimonie funebri venne fata in maniera capillare : l’esposizione della salma al Quirinale, ed il trasporto e il funerale al Pantheon.
Fu decorato per l’occasione con una scritta che copriva il fregio esterno e che recitava “A Vittorio Emanuele il Padre della Patria”.
Già prima però di questa coinvolgente cerimonia, nella riunione del consiglio comunale di Roma del 10 febbraio del 1878 nasceva l’idea di erigere nella capitale un imponente monumento simbolo in suo onore…
Funerali di Vittorio Emanuele II
Il 16 marzo del 1878 venne promulgata la legge che, accogliendo il progetto del ministro Giuseppe Zanardelli, ordinava l’erezione a Roma di un monumento nazionale alla memoria del Re.
Lo stanziamento di otto milioni di lire di contributo statale più sottoscrizioni popolari, il luogo (piazza terme di Diocleziano) e la tipologia del monumento (l’arco di trionfo, unica forma degna dei re).
Venne così bandito, nel 1880, il primo concorso a carattere mondiale.
Henry Paul Nènot
Il concorso fu vinto dal francese Henry Paul Nènot, al quale però non fece seguito una fase attuativa del progetto.
L’idea di Nénot era quella di costruire un arco trionfale a tre Fornici lungo Via Nazionale all’imbocco di piazza di Termini
(Nénot scelse questo luogo perché era uno degli “ingressi” più frequentati a Roma, vista la vicinanza della Stazione Ferroviaria di Termini:
Qui sarebbe dovuto sorgere una gradinata contornata da otto statue, nel cui centro era presente una statua di Vittorio Emanuele II di Savoia, ritratto in piedi e con il braccio alzato . Nel piazzale sarebbero state collocate anche quattro fontane.
Forti furono giustamente le critiche e le resistenze degli artisti Italiani: non poteva, giustamente, a loro avviso, essere non italiano l’autore del monumento al primo re d’Italia.
Altare di Zeus di Pergamo, ispiratore di tutti i progetti, traslato a Berlino Altra ispirazione il santuario della fortuna primigenia di Palestrina Uno dei progetti
I partecipanti che inviarono i primi progetti furono ben 315, rappresentanti 13 paesi differenti (v’era anche un concorrente giapponese), di cui 253 italiani.
Il concorso provocò un vero e proprio delirio nell’ambiente e le idee furono delle più varie e strane.
Pio Piacentini Ettore Ferrari Giuseppe Sacconi Koch, Manfredi e Piacentini
Uno dei progetti ad esempio prevedeva attorno a Castel Sant’Angelo, mutato in un grande faro elettrico, la costruzione di alcune terme in nome del re.
Fondamentale fu anche ciò che prevalse in generale nei vari lavori, ovvero un pedante simbolismo e allegorismo che imponeva ad esempio ad una torre di elevarsi per 10 piani.
Tanti quanti furono gli anni impiegati per la costituzione dell’unità d’Italia.Nel 1882 venne bandito un secondo concorso, questa volta nazionale, che stabiliva, sotto la pressione del presidente del Consiglio De Petris in persona la nuova sede del monumento nell’area del Campidoglio.
Il programma del secondo concorso quindi prescriveva: un monumento da erigersi sull’altura settentrionale del campidoglio in asse con via del corso.
La statua equestre in bronzo del re, un fondo architettonico di almeno 30 metri di lunghezza e 29 d’altezza, lasciato libero nella forma, ma atto a coprire gli edifici retrostanti e la laterale chiesa dell’Ara Coeli.
I concorrenti ebbero un anno di tempo e le proposte furono 98 di cui ne vennero selezionate tre: quella dell’architetto tedesco Bruno Schmitz, quella di Manfredo Manfredi e quella di Giuseppe Sacconi.
La commissione reale votò all’unanimità Giuseppe Sacconi.
I problemi dei costi dovevano passare in secondo piano, si sentì ora, infatti, il confronto con l’estero e le opere grandiose che vennero innalzate in circostanze simili e con la storia stessa di Roma e le grandi opere riflesso del potere dei Cesari prima e dei Papi poi. I sacrifici artistici ed archeologici, dipendenti dalla scelta del luogo, dovevano essere del tutto sopportabili e il monumento al re non poteva essere posposto al feticismo degli archeologi. (sic.)
Rodolfo Lanciani Agostino De Pretis
Questo era il pensiero di De Petris, ma non di tutti, Rodolfo Lanciani in testa.
Per la costruzione del monumento infatti, furono demoliti interi quartieri medioevali e rinascimentali, rasi al suolo il convento dell’Ara Coeli, la torre di Paolo III e il viadotto che la collegava a Palazzetto Venezia, la casa di Michelangelo e di Giulio Romano, la bottega di Pietro da Cortona.
Scomparsero anche l’antica via della Pedacchia, via Macel de’ Corvi e il vicolo di Madama Lucrezia.
Posa della Prima Pietra, alle spalle i resti del convento dell’Ara Coeli sulla spianata
Il 22 marzo del 1885 alla presenza della famiglia reale al completo si svolse la cerimonia della posa della prima pietra.
Sacconi nel suo progetto, si ispirava ai grandi complessi classici come l’altare di Pergamo e il tempio di Palestrina.
Questo monumento sarebbe dovuto essere così un grande spazio pensato come un “foro” aperto ai cittadini in una sorta di piazza sopraelevata nel cuore di Roma imperiale.
Pianta del 1920 Pianta del catasto Gregoriano con vittoriano sovrapposto Vista del colle Capitolino in origine dal tetto di Palazzo Torlonia
Sin dall’iniziò il cantiere però non ebbe vita facile.
Convinzione generale era infatti che la collina su cui ci si stava apprestando a costruire il monumento fosse stata di natura tufacea.
Invece, con costernazione di tutti, la roccia di tufo non si trovava, e al suo posto, argille fluviali, banchi di sabbia, strati sottili di creta, d’arena gialla, pomice e scendendo più giù, sabbia ghiaiosa e persino acqua.
Torre di Paolo III Carrelli a funivia per lo sbancamento
Torre di Paolo IIIDemolizioni al Colle Capitolino
Si trovarono gallerie scavate nella Roma imperiale per estrarre il tufo (che durante l’ultima guerra divennero rifugio antiaereo), ed emersero le Mura dei Re e L’Arce Capitolina.
Vista dalla Torre di Palazzo Venezia Vista da via dell’Ara Coeli
Occorreva così obbligatoriamente un’intensiva opera di consolidamento e ricostruzione del colle.
Fu proprio nel corso di quest’impresa che venne trovata, a 14 metri di profondità, la massa fossile di un mastodonte, un elefante preistorico, con tanto di mascella e occhi pietrificati del pliocenico superiore.
Prima… …Dopo ..Durante..
A questo punto il progetto venne per la prima volta modificato, la base venne allargata, il portico allungato e sensibilmente curvato, concavo e gli alzati alleggeriti.
Superate questi primi ostacoli tecnici la fabbrica prende piano forma nel bianco sparato del friabile marmo botticino fatto venire da Brescia (guardacaso zona di origine del ministro Zanardelli) al posto del travertino più resistente.
il Cantiere ..Prende forma Il Vittoriano prende forma
Una piccola curiosità: prima dell’avvento dei Savoia e della Novella Italia, Pio IX penso di erigere una colonna commemorativa in piazza venezia, con fontana, di fronte palazzetto Venezia..
Anni di Lavori e modifiche
Avanzamento dei lavori in scatti d’epoca senza cronologia
Il sepolcro di Caio Publicio Bibulo
Un Tram Ancora sferraglia in Via Macel de corvi mentre sul lato destro il cantiere del Vittoriano è in febbrile lavoro, in questo esatto luogo oggi si trovano i resti del sepolcro.
Miracolosamente scampato alle demolizioni del Vittoriano, nella aiuola sinistra rimangono pochi ma mirabili resti del tempio di Caio Publicio Bibulo.
Originariamente si trovava sul lato destro della Via Lata, poco fuori la Porta Fontinalis delle mura Serviane.
Il Biancore del botticino del Vittoriano svetta sopra i resti in tufo e travertino del sepolcro I lavori per il Vittoriano agli sgoccioli, il sepolcro sarà posto sulla destra della fontana che si vede al centro a dx
Il monumento era inserito in epoca medievale nella facciata di una casa, come ci è noto da disegni del XV secolo.
Si tratta di un monumento funerario a pianta rettangolare su alto basamento, ora in parte interrato, costituito da otto filari di blocchi di travertino;
…Su questo è incisa un’iscrizione dedicata a Caio Publicio Bibulo edile della plebe, a cui per decisione del senato e del popolo è stato concesso un terreno a spese pubbliche per il sepolcro per lui e i suoi discendenti.
Il sepolcro come appare oggi incastonato nella aiuola del Vittoriano Il Sepolcro nel 1919
G.Vasi: ” Qui sebbene, non vi sia, che una pubblica piazza, con tutto ciò evvi un abbondante mercato di tutte le sorte di viveri. E’ notabile il sepolcro di Caio Publicio , che si vede nell’angolo della salita, che dicesi di marforio, con una antica iscrizione che resta quasi perduta.
La cella sovrastante presenta una facciata divisa da quattro lesene tuscaniche che inquadrano al centro una finestra e due tabelle con cornice ai lati.
Nella parte superiore rimane un unico blocco dell’architrave decorato con un fregio di festoni con grappoli d’uva, mele e bucrani.
Il sepolcro è databile alla prima metà del I secolo a.C.
Il biancore del botticino in basso e le case fumose negli ocra e rosso di via macel de corvi, qui sotto verrà posto il sepolcro Questa foto è del sepolcro ancora addossato alla casa di via Marforio 1870
Altri reperti perduti
Altri ritrovamenti di cui si hanno poche repertazioni: un monumento in blocchi di tufo alti m 0,60 disposti per testa e per taglio, per un’altezza totale di m 1.3,25.
Era rivestito con lastre di marmo alte m 1 e larghe rn 2, di cui soltanto una integra; su di essa si riconoscono segni di numerazione in cifre romane, mentre su una frammentaria è incisa la lettera -N da lastre di travertino.
Il monumento fu demolito nel 1909, come d’altronde aveva suggerito lo stesso Lanciani, il quale tuttavia auspicava che fossero eseguite preventivamente delle indagini nell’area per comprenderne I’origine e la funzione.
In base alla tecnica ed ai materiali il monumento va fatto risalire alla metà del 1° secolo a.C..
I disegni eseguiti dal Lanciani nel maggio del 1889 ne mostrano il prospetto da via Macel dei Corvi, la pianta ed i due frammenti
delle lastre marmoree di rivestimento, una delle quali con iscrizione.
Prima dello scavo il monumento era interrato per m 5,40. L’eliminazione di una porzione del terrapieno moderno mise
in luce 11 filari di blocchi fino al livello delle acque. A m 1.,25 da questo si trovava il livello della strada antica.
Non è facile identificare tale monumento: la forma a torre con pareti lisce e senza aperture (quelle visibili sono posteriori) ne esclude la destinazione residenziale o urbanistica.
Il rivestimento in lastre di marmo e la presenza dell’iscrizione farebbero piuttosto pensare ad una struttura monumentale da associare agli interventi cesariani per la costruzione del Foro nella sella Campidoglio-Quirinale, che qui aveva il
punto più basso e per la quale furono usati gli stessi materiali.
Probabilmente una cisterna di età Repubblicana.
La Statua Equestre
Una seconda questione fu sulla realizzazione della statua equestre del re.
Il giorno stesso della chiusura del secondo concorso, la commissione reale ne bandi un altro per la statua equestre e con grave disappunto del Sacconi nominò Enrico Chiaradia.
Il conflitto tra i due fu subito , con dispetti e critiche reciproche. Uscì vincitore lo scultore, il 18 luglio 1905.
…Venticinque giorni prima della morte di Sacconi infatti, venne dato l’incarico di procedere alla fusione dei cannoni di bronzo forniti dal Ministero della Guerra.
I Progetti in scala 1/2 vengono esposti e valutati all’interno del Teatro Correa
Il “Correa”(mausoleo di Augusto), che 30 anni dopo sarà raso al suolo durante le demolizioni per l’Augusteo
L’idea originaria del Sacconi non prevedeva il re a cavallo, ma in apoteosi, con gli indumenti regali “coronato dal genio della Vittoria primo re d’Italia in Campidoglio”, a suo avviso una statua equestre era totalmente inadatta al carattere del monumento stesso, in fondo, sosteneva, quando il re era entrato a Roma non aveva forse cessato di combattere per l’unità d’Italia e, quindi, non era più logica una rappresentazione dell’apoteosi del sovrano come primo re d’Italia?
Da qui nacque la parola chiave “Altare della Patria”, che Sacconi accolse anche nella speranza di liberarsi di Chiaradia, ma che si collegava a pieno a quel sentimento nazionalistico e risorgimentale che era stato fondamento dell’ultimo secolo e che aveva visto Vittorio Emanuele suo protagonista in prima persona come re dell’unificazione della patria Italiana.
Dopo la morte di Sacconi il progetto passò alla triade di architetti:Gaetano Koch, Pio Piacentini e Manfredo Manfredi, i quali sostennero la tendenza già attestata nella prima modifica, di concepire il monumento come prosecuzione naturale della piazza.
Le Cene dentro la statua ed il trasporto
E’ nel febbraio del 1911, quando la contestata statua equestre venne portata a pezzi a piazza venezia (50 tonnellate realizzate nella fonderia di san michele a ripa e san lorenzo..per oltre un milione e mezzo di vecchie lire..)
La storia racconta della cena a base di tartine e champagne in piazza dentro il ventre del cavallo, con sindaco ed autorità…ma il giorno prima ci fu la cena degli operai con ben più frugale pasto ad immortalarne un altra immagine.
Grande fu l’ilarità sulla poca veridicità storica di divisa e berretto del re, dei suoi baffi di un metro e molti altri particolari. Per sua fortuna il progettista Sacconi, che provò in ogni modo ad evitare di far apporre la statua sul suo monumento, morì prima di vederne issato l’enorme quadrupede di 12 metri..
Storia ed urbanistica ci raccontano che dal 1873 al 1883 vennero deliberate due leggi speciali per Roma che avevano lo scopo di delineare un nuovo assetto urbanistico della città, contribuendo al progetto “di volto nuovo di città moderna”.
Di questo periodo è lo sviluppo nel quadrante di nord-ovest, sull’Esquilino che accoglierà i locali della pubblica amministrazione, e via Nazionale.
La nuova arteria costituiva un tassello di un piano urbanistico ben studiato e simbolico.
Nell’intersezione con all’antichissima via Lata dei romani poi via del Corso e corso Vittorio Emanuele formava, infatti, una struttura a T rovesciata che aveva punto focale il monumento al re.
Questo progetto è una chiara espressione di quel monocentrismo che Roma aveva da secoli dimenticato e che ora riappare sotto la spinta di riqualificazione dell’apparato urbano della città eterna a fini politici e laici dell’unità nazionale e con lo scopo di coinvolgere emotivamente e sentimentalmente la popolazione.
L’Inaugurazione
Inaugurazione del Vittoriano
Inaugurazione del Vittoriano
Inaugurazione del Vittoriano
Il complesso monumentale inaugurato davanti a un’immensa folla il 4 giugno 1911, in occasione degli eventi collegati all’Esposizione Internazionale di Torino durante le celebrazioni del 50º Anniversario dell’Unità Italiana, da re Vittorio Emanuele III.
Inaugurazione del Vittoriano
Inaugurazione del Vittoriano
Alla cerimonia parteciparono anche la Regina Elena, la Regina madre Elisabetta di Savoia e la restante parte della famiglia reale, compresa Maria Pia di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II e Regina madre del Portogallo, da poco deposta dalla rivoluzione che aveva instaurato la repubblica nel 1910.
Erano anche presenti il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, i seimila sindaci d’Italia, i veterani delle Guerre Risorgimentale tremila studenti delle scuole romane.
Il Milite Ignoto .. Altare della Patria
Occorrerà però il trionfo della morte per coinvolgere a pieno i sentimenti della gente, occorrerà la tragedia della guerra mondiale affinché la mole di marmo conquisti un’anima, occorrerà il sacrificio di milioni di uomini rappresentati in uno, un Ignoto, che verrà sepolto nel sacello sotto la Dea Roma.
Il Soldato e il Popolo si fondono fino a formare un’unica simbolica e comunitaria effige: la Nazione armata, che ha combattuto in questa guerra di massa e che ora si riscatta assurgendo al posto più alto, al riconoscimento supremo.
Il 4 novembre 1921, dopo un viaggio della salma memorabile ed ampiamente documentato giunge a Roma. Il giorno della tumulazione del Milite Ignoto sotto l’Altare della Patria, nella cripta a lui dedicata, l’Italia intera si è fermata per rendergli omaggio.
..Dal Ventennio all’ingresso delle truppe Anglo-Americane.
1943 truppe tedesche in piazza 1945 Le truppe Anglo Americane in piazza.
La piazza durante la retorica politica ma anche urbanistica del periodo, si riduce a un mero punto di propaganda e di confronto figurativo e storico della diarchia re-duce, da una parte infatti c’è il monumento a Vittorio Emanuele II, dall’altra il Palazzo di Venezia.
Del resto se non fosse per la presenza del Milite Ignoto, sacro anche al regime, il monumento è nato come emblema a uno dei componenti della casa reale sabauda.
Di questo periodo a completamento del complesso è la costruzione della nuova cappella del Milite Ignoto e del Museo del Risorgimento.
Fra il 1924 ed il 1927 sui Propilei furono posizionate la Quadriga dell’Unità, di Carlo Fontana, e la Quadriga della Libertà, di Paolo Bartolini.
Le truppe entrano a Piazza Venezia Truppe Irlandesi con Cornamuse Roma si lascia alle spalle una guerra, i militari d’oltreoceano se la godono con le nostre ragazze nei momenti liberi…
Solamente nel 1935, però, i lavori poterono considerarsi conclusi. Il fascismo si impossessava così del vittoriano e, nell’atto stesso, finiva per annullarlo.
Oramai alla mole era relegato il ruolo di ornamento per le manifestazioni del regime e di palcoscenico per le celebrazioni della virtù militare.
Con la fine del regime fascista e la scelta, mediante un referendum, tra la monarchia e la repubblica, il popolo italiano ha ritrovato nell’Altare della Patria, il simbolo d’unità nazionale, che si celebra sulle sue scale a date fisse:
il 25 aprile, ricorrenza della liberazione, il 2 giugno per la festa della Repubblica con la relativa rivista militare, e il 4 novembre, festa della Vittoria e giornata delle Forze armate.
La piazza ed l monumento sono oltretutto, ancora oggi, nell’iconografia dell’arrivo degli alleati che foto e video stigmatizzano proprio il loro ingresso in città
Il Traffico degli anni 60 Le manifestazioni del 68
Dall’attentato del 69 alla riapertura del 97
Il 12 dicembre 1969 il Vittoriano fu luogo di un attentato: attorno alle 17:30 scoppiarono due bombe, a dieci minuti l’una dall’altra, in concomitanza con la strage di Piazza Fontana a Milano presso il monumento non si ebbero comunque vittime.
Erano state collocate lateralmente, in corrispondenza di ciascun propileo, e una riuscì a scardinare la porta del Museo centrale del Risorgimento (lanciata via per sette metri) e a rompere le vetrate della basilica di Santa Maria in Ara coeli.
La seconda detonazione rese pericolante il basamento di un pennone A causa dei danni dovuti all’attentato il Vittoriano fu chiuso al pubblico e tale restò per trent’anni d’altronde l’edificio magniloquente era ormai ignorato e la sua utilità non era più sentita o riconosciuta
Complice la scia del clima politico degli anni settanta il Vittoriano conobbe un lungo periodo di oblio pressoché completo, durante il quale persino le istituzioni lo marginalizzarono.
Nel 1975 passò in carico dal Ministero della pubblica istruzione a quello dei beni culturali, ente che tuttora lo gestisce. Nel 1981, tramite decreto datato 20 maggio, il ministero dichiarò l’importanza storica e artistica del Vittoriano, riallacciandosi alla precedente legge n° 1089 del 1º giugno 1939
Nello specifico il monumento fu reso nuovamente accessibile al pubblico su pressioni di Carlo Azeglio Ciampi il 24 settembre 2000, dopo un accurato restauro e in occasione della cerimonia di apertura dell’anno scolastico 2000-2001, la cui parte più importante avvenne proprio al Vittoriano alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana
Dal 4 novembre 2000 le cerimonie simbolicamente più importanti dell’Anniversario della liberazione d’Italia, della Festa della Repubblica e della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate avvengono stabilmente presso il monumento.
Il Vittoriano è anche diventato importante sede museale di collezioni inerenti all’identità nazionale italiana: gli spazi espositivi presenti (il Museo centrale del Risorgimento e il Sacrario delle Bandiere) sono stati rilanciati con un’opera di potenziamento e aggiornamento che li ha resi sempre più frequentati dai turisti.
Pingback:ROMA ARCHEOLOGIA e RESTAURO ARCHITETTURA. Il Vittoriano con ancora la Statua coperta nelle imminenze della Inaugurazione (1910-11), in: Vittoriano: storia di una trasformazione urbanistica. TRASTEVERE APP (17/01/2019). S.v., A. de Alvariis (2019); V. Sant
Buonasera, complimenti per la bellissima documentazione. Vorrei chiedervi se avete foto della demolita chiesa di Ss. Venanzio e Ansovino che fu demolita nel 1928 e si trovava sul lato esta ispetto al Vittoriano. Grazie
te la troviamo a breve
Salve,
ho trovato questa foto, data 1846, del Campidoglio, del fotografo Calvert, dall’archivio del Metropolitan Museum. La chiesa era sulla sinistra, ma non riesco a trovare nessuna foto.
https://archive.org/details/clevelandart-1997.193-view-of-the-capitol
vieni qui sul nostro gruppo trovi tutto e puoi chiedere roma x sempre
grazie per l’eccellente lavoro e complimenti
chiedo gentilmente l’autorizzazione se possibile ad utilizzare qualche vostra immagine per una mia ricerca indicando il vostro riferimento
grazie ancora