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Michelangelo Buonarroti, La casa Romana

Quel che rimane della casa di Michelangelo oggi passa inosservata all’uscita della passeggiata del gianicolo verso san Pancrazio, recuperata come facciata del bacino idrico realizzato negli anni 30

Michelangelo al Gianicolo

Chi di voi sa dove si trovi la casa in cui visse i suoi anni romani e nella quale morì il grande Michelangelo Buonarroti?

Beh il suo è davvero un caso di ipocrisia e destino beffardo, che in questa Città mai sono mancati.

Michelangelo, così tanto citato, tirato in ballo, blasonato, osannato ma…genio dimenticato.

Quella che andiamo a raccontarvi è una  di quelle storie che solo Roma sa e può regalare: quella della dimora del Buonarroti a Roma è una vera saga in vita ed ancor più post mortem .

La figura dell’artista non necessita certo di presentazioni , per lui parlano  le sue incommensurabili opere, ma  questa città non è stata capace di rendergli la doverosa memoria.

Oggi solo una doppia targa , inosservata da turisti e completamente ignorata dai romani, lo ricorda sul palazzo delle Assicurazioni Generali a piazza Venezia,

Le due targhe sul Palazzo delle Assicurazioni sul lato Colona Traiana

…Quella più in alto era l’originale apposta fuori la sua vecchia casa, c’è scritto «Qui era la casa consacrata dalla dimora e dalla morte del Divino Michelangelo» e la data, 1871.

La seconda è proprio sotto e spiega: «Questa epigrafe apposta dal Comune di Roma nella casa demolita per la trasformazione edilizia è stata collocata nello stesso luogo per cura delle Assicurazioni Generali di Venezia»

Via Macel de Corvi, fumosa ed in demolizione sopra il biancore accecante del botticino del Vittoriano
Alla estrema destra della foto in basso, si vede la facciata a via elle tre Pile e sullo sfondo palazzo Caffarelli, entrambi demoliti

 Cenni Storici

Secondo l’architetto Bernardo Buontalenti, un epitaffio sareb-be stato scritto da Michelangelo Buonarroti “a mezza scala”della sua casa romana di Macel de’ Corvi:

Io dico a voi, c’al mondo avete datol’anima e ’l corpo e lo spirito ’nsïeme: in questa cassa oscura è ’l vostro lato

Al di sotto dell’iscrizione l’artista avrebbe disegnato in chiaro-scuro uno scheletro sulla cui debole spalla gravava la “cassaoscura”, parafrasi del destino umano e allegoria di questa residenza romana, conosciuta dalle poche descrizioni che se ne traggono come luogo modesto e tetro.

Questa dimora, poco più che una piccola casa su due piani con pertinenze e orto, fu il rifugio nel quale Michelangelo trascorse con continuità gli ultimi trent’anni della propria esistenza: una residenza per la quale lottò strenuamente e grazie alla quale poté vivere quasi isolatamente in una città in cui forse non si sentì mai veramente integrato

Nessuno, prima del pittore e trattatista portoghese Franciscode Hollanda, aveva fatto espresso riferimento alla collocazione topografica della casa romana di Michelangelo, identificata genericamente “ai piedi di Monte Cavallo”

Nelle loro edizioni della Vita di Michelangelo, sia Giorgio Vasari sia Ascanio Condivi accennarono ad alcune residenze romane che, in tempi e con modi differenziati, fecero da scenario alla sua esistenza, ma mai si espressero apertamente a riguardo della dimora in cui l’artista visse stabilmente per più tempo

Di questa casa si interessò per primo Benvenuto Gasparoni il quale, tra il 1865 e il 1866, pubblicò una serie di documenti inediti a essa relativi e definì, con una certa attendibilità filologica, la sua articolazione planivolumetrica e la sua collocazione urbana: lungo via dei Fornai, presso la chiesa di Santa Maria di Loreto, poco oltre il Foro di Traiano (fig. 1)

1. Antonio Tempesta, Pianta prospettica di Roma, 1593. Il rettangolo individua il retro della casa di Michelangelo a Macel de’ Corvi verso vicolo dei Frangipane

Secondo Gasparoni, questa residenza fu venduta nel 1605 allo scalpellino viggiutese Stefano Longhi per la considerevole somma di 3800 scudi d’oro, benché lo studioso non portasse a supporto di questa affermazione alcuna testimonianza documentale.

Egli, inoltre, non riuscì a mantenere la promessa fatta di un successivo approfondimento della materia con la pubblicazione di documenti inediti – rimasti a lungo tali e dei quali in questa sede, per la prima volta, si offrono alcuni stralci – e pertanto restarono aperti numerosi interrogativi sulle vicende, edilizie e proprietarie, di cui la casa di Michelangelo sirese protagonista nel corso dei secoli.

Dopo Gasparoni, Luigi Mazio (1872) si interessò alle dimore di Michelangelo spingendosi ad analizzare sommariamente le residenze nelle quali l’artista fu ospite prima del suo spostamento definitivo presso la chiesa di Santa Maria di Loreto intorno al 1534

 

Se, a riguardo di quest’ultima dimora, Mazio riprese con fedeltà quasi testuale i saggi di Gasparoni, sulla scorta di Vasari, credette di individuare nella residenza suburbana del cardinale Raffaele Riario in via della Lungara la prima casa romana in cui Michelangelo avrebbe vissuto: una collocazione che però si sarebbe rivelata inesatta.

 

2. Giuseppe Vasi, Veduta del palazzo della Cancelleria Apostolica, 1754, in Giuseppe Vasi, Delle magnificenze di Roma antica e moderna, Roma 1747-1761, vol. IV, tav. 94. Alla destra del palazzo della Cancelleria si vede il distrutto palazzetto di Jacopo Galli

Solo agli inizi del XX secolo l’argomento fu ripreso in maniera analitica: Il tedesco Ernst Steinmann, in due saggi successivi del 1907 e del 1912 – di cui il secondo riproponeva nella massi-ma parte il primo – si interessò con una certa ostinazione alle residenze romane dell’artista..

 Valendosi dei precedenti saggi di Gasparoni per la parte documentaria e basandosi essenzialmente sulla lettura del carteggio michelangiolesco tratto da Gaetano Milanesi (1875) e da Karl Frey (1907), gli studi di Steinmann non introdussero argomentazioni inedite rispetto allo stato dell’arte.

3. Giovanni Antonio Dosio, Veduta del Borgo Nuovo, seconda metà del XVI secolo. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, 2580 A. La casa di Michelangelo doveva situarsi nel tessuto edilizio alle spalle del passetto di Borgo, alla sinistra dell’immagine

Unico elemento di menzione può considerarsi una brevissima nota ricavata da un precedente scritto di Rodolfo Lanciani (1906) del quale Steinmann fece propria la

tesi secondo cui l’acquisto della casa presso Macel de’ Corvi da parte di Stefano Longhi si poneva cronologicamente dopo una precedente vendita del 1584, avvenuta tra agli eredi di Michelangelo e l’architetto Martino Longhi il Vecchio, lontano parente di Stefano.

Il riferimento a Lanciani però si rivelò imprudente poiché – come avrebbero dimostrato dapprima Fabrizio Apollonj Ghetti (1968) e successivamente Paola Barocchi, Kathleen Loach Bramanti e Renzo Ristori (1988-1995) – esso era derivato da una lettura poco attenta della documentazione consultata.

 L’attenzione per le case romane di Michelangelo si affievolì sino al 1930, allorquando il senatore Corrado Ricci ne scrisse un brevissimo articolo pubblicato sulle pagine del quotidiano “Il Messaggero”.

L’autore però cadeva in un clamoroso errore, fondando la descrizione dell’abitazione di Macel de’ Corvi sull’osservazione diretta delle litografie che, da Angelo Uggeri (1800-1828) fino a Paul Letarouilly (1840-1857) avevano cominciato a circolare per l’Europa, sull’onda di quel filone pittoresco basato più sulle tradizioni orali che non sulla ricostruzione documentaria: le incisioni, infatti, illustrano il prospetto esterno e l’atrio di una casa che Michelangelo Buonarroti avrebbe abitato (o posseduto?) alle falde del Campidoglio, non molto distante dal palazzo dei Conservatori.

4. Salvestro Peruzzi, Pianta di Roma con la contrada di Macel de’ Corvi (presso il cavalcavia di San Marco), metà del XVI secolo, particolare. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, 274 A

Nello stesso equivoco cadde Luigi Callari, il quale, nella sua pubblicazione sui palazzi di Roma (1932), ripropose la descrizione di Ricci.

 Alla metà degli anni sessanta del Novecento, Anna Maria Corbo pubblicò, insieme a un documento inedito, il regesto di una selezione di atti inerenti la casa di Macel de’ Corvi, ma solo nel 1968, il già citato Apollonj Ghetti poté ricostruire piuttosto fedelmente la storia della casa, adducendo alcune prove circostanziate sulla sua corretta collocazione

 Recentemente Rab Hatfield (2002) nello studio sulle finanze di Michelangelo ha ripercorso assai brevemente le vicende legate alle residenze romane dell’artista, aggiungendo alcune novità che tuttavia non riguardano più direttamente la casa di Macel de’ Corvi.

Modificata sostanzialmente durante i molti anni nei quali fu di proprietà della famiglia Longhi, passata poi all’avvocato Scipione Cavi, entrata a far parte del patrimonio immobiliare del principe Alessandro Torlonia dalla seconda metà del XIX secolo, demolita per lasciare posto al nuovo palazzo delle Assicurazioni Generali in piazza Venezia (1902-1906), la dimora di Michelangelo Buonarroti è oggi ricordata solo da una targa, il cui brevissimo testo non può che darne una flebile e scolorita testimonianza

 

5. Nicola Giansimoni, Prospetto di case verso palazzo Bolognetti in costruzione, 1755. Archivio di Stato di Roma, Notai del Tribunale delle Acque e delle Strade, busta 155, ff. 598-603

La bottega era al pian terreno, vicino al tinello. Sul retro la stalla e un piccolo orto. Due camere da letto al primo piano con le finestre che inquadravano a mala pena il cantiere della chiesa di Santa Maria di Loreto, che stava costruendo la Congregazione dei Fornai.

 Il nome della via , era piuttosto eloquente, nei suoi sonetti, Michelangelo descrive a  tinte forti le vie del quartiere che lo ospitava e anche quella casa, davvero modesta , inadeguata ad un artista del suo calibro malgrado il suo basso profilo.

Il quartiere era quasi una discarica a cielo aperto, maleodorante e colmo di ogni rifiuto proveniente dalla macellazione degli animali.

 Il nome, del resto, evoca per l’appunto corvi che si litigano avanzi di macellazioni.

Eppure, il grande artista non volle mai lasciare quella specie di colorito tugurio.

In questa casa  progettò  i lavori che lo resero immortale, ma i proventi accumulati, non gli fecero mai cambiare stile di vita. 

Non fu solo questione di avarizia, come da più parti malignamente sostenuto, quanto di basso profilo al limite della misantropia.

Via Macel de Corvi

A Macel de’ Corvi, Michelangelo visse  solo, benché circondato da serve che egli apostrofava “puttane e porche” (proprio così…) e soprattutto del fidato  Urbino (Francesco di Bernardino), il garzone che lo accompagnò per ventisei anni, difendendolo dalla curiosità degli avventori e dai fastidi di uno stuolo di veri o presunti parenti che lo importunavano sovente per spillargli denaro.

Un Tram sferraglia tra il cantiere del Vittoriano e le case dell’Alessandrino ai margini della colonna Traiana

“Era povera e modestamente arredata la casa che Michelangelo Buonarroti ha abitato a Roma”: una «scura tomba» l’avrebbero definita i visitatori stranieri, al centro di una nuvola di casette popolari a due passi dai Fori, .

il Vittoriano giganteggia accanto le case rimaste all’Alessandrino

I suoi vicini erano artigiani e gli odori dovevano essere forti e acri in una zona usata come latrina a cielo aperto e dove fiorivano rifiuti e carcasse di animali.

Eppure non volle mai lasciare quell’abitazione concessa all’artista nel 1513 dalla famiglia Della Rovere, eredi di Giulio II, nella speranza che completasse la tomba del Pontefice, dove visse «povero e solo come spirito legato in un’ampolla».

Roesler Franz, oltre che acquarellista fu antesignano fotografo che per primo capì cosa immortalare, ovvero tutto quanto stava sparendo sotto la frenesia demolitrice della novella Italia Savoia
Le pendici del colle capitolino e le arcate del Passetto di Paolo III, un tessuto di viuzze e piccole case dove ora c’è il vuoto di fronte il Vittoriano

Lastre del 1884 che documentano i primi sventramenti a ridosso del passetto di Paolo III

Tra il passetto di Paolo III ed il cantiere per il Vittoriano, quel che rimane della via durante le demolizioni.

Eppure in quella « scura tomba» si trovò bene. Ci abitò negli anni eroici in cui dipinse il Giudizio Universale, e in quelli amari della Cappella Paolina e della fabbrica di San Pietro.

Anni di trionfi e turbamenti, battaglie e umiliazioni, inquietudini spirituali e teologiche, nel corso dei quali realizzò capolavori che lo resero «divino» agli occhi del mondo, ma in cui dovette anche subire sconfitte e fallimenti, rinunciare ai suoi sogni più grandiosi, lottare contro l’ invidia e la gelosia dei suoi umanissimi quanto mediocri colleghi.

Anni che fecero di lui l’ artista più pagato e più ricercato di tutti i tempi,  il più celebre e il più temuto per le sue collere violentissime e per il suo orgoglio smisurato.

La Casa

Queste due piccole case, più prossime all’ospedale di Santa Maria di Loreto, e quindi al crocicchio di Macel de’ Corvi, si articolavano su tre bassi livelli fuori terra, con piccole finestrelle quadrate, ed erano dotate sul retro di orti o giardini, visibili dall’esterno attraverso un basso muro di recinzione, così come si può osservare con nitore primaverile nella citata incisione di Antonio Tempesta e nel rilievo di alcune simili costruzioni poste nel medesimo isolato, eseguito dall’architetto Nicola Giansimoni nel 1755 (fig. 5).

Riconducibile più genericamente alla tipologia della casa a schiera con giardino e pertinenze – la cui definizione di allora potrebbe essere stata “casa con fienile” –, il corpo principale del complesso, la cosiddetta “casa grande”, era dotata di poca estensione in facciata, possedeva due affacci contrapposti, uno sul fronte principale di viadei Fornai e uno sul retro, l’antico vicolo dei Frangipane, poiBolognetti, infine Torlonia, ed era contraddistinta da una piccola torre quadra articolata su due diversi livelli, alla quale si accedeva attraverso una scala a chiocciola collocata in uno dei piccoli anditi interni ricavati nella planimetria dell’edificio.

Per quel che concerne l’organizzazione planimetrica della cosiddetta “casa grande”, si può fare riferimento a una analoga residenza, prossima a quella di Michelangelo, appartenente all’ospedale di Santo Spirito in Sassia, in seguito venduta all’architetto Onorio Longhi.

 

Si tratta di un rilievo quotato del 1587 che mostra bene lo schema tipologico di una “casa con fienile” dell’epoca (fig. 6)

Sulla base di questo rilievo, integrando con i documenti prima citati che descrivono la composizione delle case di Macel de’ Corvi, è possibile tentare una ipotetica ricostruzione della residenza di Michelangelo Buonarroti.

La posizione delle pertinenze di Michelangelo

L’ingresso era posto lungo la via dei Fornai con andito, in parte occupato da una scala posta perpendicolarmente al fronte stradale e confinante con il muro di delimitazione del lotto. Oltrepassato l’andito si può verosimilmente immaginare un ampio cortile con spazio aperto loggiato.

Al piano superiore, vi si sarebbe trovata la sala e la stanza da letto con le altre stanze a esse collegate. La torre quadrata avrebbe svolto una funzione a sé, disposta com’era mediante una serie verticale di piccoli ambienti sovrapposti: e che fosse indipendente dalla casa principale lo testimonia il fatto che Leonardo Buonarroti, durante i suoi soggiorni romani, chiese espressamente di potervi abitare per garantirsi una completa indipendenza

Similmente a tutte le abitazioni artigiane della zona, il piano terreno era articolato in modo tale da predisporre ampi spazi protetti – le cosiddette logge – alternati a spazi aperti, entrambi e l’attaccamento di Michelangelo al piccolo complesso edilizio di Macel de’ Corvi si esprimesse attraverso una condotta contraddittoria.

 6. Anonimo, Casa di Onorio Longhi ai Santi Apostoli, 1587. Roma, Accademia Nazionale di San Luca, Fondo Ottaviano Mascarino, inv. 2371

Nonostante si fosse a lungo impegnato per ottenerne il pieno possesso, più di una volta espresse la ferma intenzione di alienare l’intera proprietà, anche quando questa sembrava non ancora appartenergli ufficialmente.

La prima volta avvenne nel luglio del 1531, allorquando in una lettera inviata a Buonarroti, Sebastiano del Piombo riferiva come avesse saputo da messer Hieronimo Ostacoli che “Michelagniolo voria vender la casa” e che, una volta finito il monumento per Giulio II “la si venderà”, aggiungendo inoltre:

“Et me disse, più, che la casa non era la vostra [bensì], che l’era del cardinal Aginensis”, concludendo “Pregovi ancora avisateme come sta la cossa de la chasa, si è vostra o di li eredi del Cardinale?”

La seconda fu nel dicembre 1558, quando Michelangelo, rivolgendosi al nipote Leonardo, scrisse

“io ti [dissi] già di comprare costà [a Firenze] una casa che fussi onorevole e in buon luogo, e ancora son della medesima voglia, perché comprai qua circa novecento scudi di Monte del qual me n’uscirei volentieri, e con la casa che io ò qua, e comprar costà”.

8. Giovanni Battista Falda, Veduta di Piazza de Santi Apostoli, 1665, in Giovanni Battista Falda, Il nuovo teatro delle fabbriche et edifici fatte fare in Roma e fuori, Roma 1665-1669, vol. II, tav. 4

Michelangelo Buonarroti non vendette mai le proprie case romane di Macel de’ Corvi e lì si spense alle prime luci dell’alba di venerdì 18 febbraio 1564.

Il primo maggio di quello stesso anno Leonardo Buonarroti, erede universale dello zio, locò a Daniele Ricciarelli da Volterra, pittore e scultore, fedele amico di Michelangelo, una “casa posta nel Rione di Trevi presso S.Maria di Loreto [… con la clausola che] non possa appiggiona-re […] le due casette appartenenti e congiunte a detta casa”

9. Lievin Cruyl, Colonna Traiana, 1664 (disegno preparatorio in controparte)

Nonostante abitasse ancora la casa di Monte Cavallo, nella quale era impegnato a terminare la statua equestre di Enrico II di Francia, Daniele provvide al restauro della dimora che era stata di Michelangelo, la cui nota dei lavori fu pubblicata per la prima volta da Gasparoni nel 1866.

7. Ricostruzione delle proprietà immobiliari delle famiglie Longhi presso Macel de’ Corvi alla fine del XVII secolo, sulla base del Catasto urbano di Roma del 1824. ASR, Catasto urbanoRione II Trevi, f. I. Con la lettera A sono indicat le proprietà di Michelangelo Buonarroti e con le lettere B e C rispettivamente quelle che dovrebbessere state le abitazioni di Martino Longhi il Vee di Onorio Longhi (elaborazione dell’autore)

Il serrato elenco di interventi – utile in taluni casi a conoscere il dimensionamento di certi ambienti, ma non a stabilirne l’esatta collocazione , trattando prevalentemente di opere di messa in sicurezza delle strutture portanti dell’edificio, del tetto e del ripristino del vano della scala principale,rivela uno stato dell’immobile ai li-miti dell’obsolescenza.

Blocchi di marmo rinvenuti durante le demolizione del complesso Torlonia.bolognetti.frangipane, quelli rimasti per secoli nel cortile della casa d Michelangelo

Nel brevissimo periodo di tempo durante il quale Daniele da Volterra possedette la “casa grande” di Buonarroti, egli si dovette occupare anche della questione inerente il tentativo di rivendicazione del piccolo complesso immobiliare da parte di alcuni eredi della famiglia Della Rovere.

13. Angelo Uggeri, Casa di Michelangelo costruita e abitata da lui medesimo, in Angelo Uggeri, Journées pittoresque des anciens édifices de Rome et des environs, Roma 1800-1828, vol. II, tav. 14 e vol. III, tav. 16

“Questi del Papa hanno fatto gran forza d’averla casa. Io la ho difesa in modo che non credo ci penseranno più; e acciò che si vegga la casa più abitata, ho messo Iacopo [l’architetto Giacomo del Duca] con le sue donne in le stanze che abitavano le donne d’Antonio [Antonio del Francese, l’ultimo servitore di Michelangelo]. E io non mancho di dormir del continuo nella torre con un de’ miei”

Altre lettere analoghe furono scambiate tra Daniele o Giacomo del Duca e Leonardo Buonarroti, tra i quali evidentemente correvano ottimi rapporti

10-11. Paul M. Letarouilly, Vue d’une maison habitée jadis par Michel’Ange Buonarroti située au pied du Capitole, via d’Ara Celi, 1840, in Paul M. Letarouilly, Edifices de Rome Moderne, ou Recueil des palais, maisons, églises, couvents, et autres monuments publics et particulieres les plus remarquables de la ville de Rome, Paris 1840-1857, vol. I, tav. 326

Questi però si interruppero bruscamente con la morte di Daniele (4 aprile 1566) che lasciava ai propri eredi – tra i quali figurava il pittore Michele Alberti, suo esecutore testamentario il gravoso compito di avere restituite le spese sostenute per i lavori eseguiti alle case di Michelangelo.

Con sentenza del Consolato della Nazione fiorentina in Roma, nel novembre del 1567 fu stabilito che Leonardo, attraverso il suo procuratore romano Carlo Gherardi, rifondesse gli eredi di Daniele da Volterra della somma dovuta.

In quegli stessi anni il nipote di Michelangelo aveva dovuto occuparsi direttamente anche della que-stione di alcune “pietre” lasciate nella casa dello zio da un precedente inquilino, l’uomo d’affari senese Diomede Leoni.

Un nuovo anonimo affittuario, infatti, lamentava la presenza di questi materiali in una delle stanze del complesso immobiliare  forse di una delle case annesse –, stanza che lo stesso Leoni aveva provveduto a serrare trattenendo la chiave.

Non è documentato se l’anonimo inquilino fosse quello stesso scalpellino Stefano Longhi da Viggiù al quale poi fu venduta l’intera proprietà, certo è che, stando a una lettera inviata da Carlo Gherardi a Leonardo Buonarroti nell’ottobre del 1572, qualcuno era già determinato ad acquistare l’intera proprietà con ogni sua pertinenza.

Il Passetto di Paolo III che si inerpicava tra case e giardini pensili tra Palazzetto venezia e la torre omonima, sopra si scorge la colonna Traiana, in basso a destra si scorgono i tetti di via Macel de Corvi
Per comprendere la foto precedente ve ne mostriamo un “innesto” nell’attuale contesto, li vicino alla colonna traiana era la casa di Michelangelo

 

12. Anonimo, Casa in via delle Tre Pile nn. 59-63, 1871. Roma, Archivio Storico Capitolino, Volume degli Atti pubblici, P-Z, anno 1874, ff. ss. nn.

Eppure, l’ artista dei papi e del potere non traslocò mai. Anche quando divenne uno degli uomini più ricchi di Roma continuò a vivere come un artigiano qualunque a Macel de’ Corvi , quand’era ormai ottantottenne (una età ragguardevole per l’epoca ) l’allievo Tiberio Calcagni lo sorprese a vagare sotto la pioggia: “non ho requie in nessun luogo”, disse il Maestro con un filo di voce, disperato.

Una fase della costruzione del Vittoriano dove persiste il palazzetto ancora ad angolo retto ed alcune case alle sue pendici, il meraviglioso palazzo Torlonia-Bolognetti già quasi spianato, sulle sue ceneri sorgerà il palazzo delle Assicurazioni che conserva le targhe ad memoriam del gran maestro

Riportato a casa, qualche tempo dopo morì, dopo tre giorni di febbre alta, lasciando una casa vuota piena di vecchie cose e di arnesi consunti  e lasciando nella bottega ; tre statue: un san Pietro, un Cristo portacroce e «un’altra statua principiata .

Un  Cristo con un’altra figura sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite», la Pietà Rondanini ed infine:  una cassa colma di monete: 8.289 ducati d’oro, circa trenta chili del prezioso metallo, testimoni di una ricchezza non spesa e non goduta. Curioso destino per uno degli artisti più (ri)-conosciuti al mondo, che quella casa sia ricordata a Roma in modo altrettanto modesto.

Via Macel de Corvi, casa di Giulio Romano , cui fu dedicata la via in seguito
Resti Romani annegati nel tessuto delle case medioevali demolite proprio sopra Macel de Corvi

Oggi Via Macel de Corvi non esiste più, tutta l’area, compresa la casa di Michelangelo, venne spazzata via dalla furia demolitrice dei Savoia ,che dal 1870 ai primi del Novecento doveva far posto al monumento a Vittorio Emanuele II e al nuovo assetto  di Piazza Venezia.

Demolizioni per la via dei Fori degli anni 30
Via Macel de Corvi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli ultimi proprietari, i marchesi Pellegrini, la cedettero allo Stato italiano.

Il Vittoriano, chiamato a celebrare i cinquant’anni del giovane regno, non poteva fermarsi davanti a una fila di casette che da una parte avevano ospitato Michelangelo e poco più in là, verso il Campidoglio, la casa di Giulio Romano, discepolo di Raffaello.

palazzo Torlonia Bolognetti in demolizione

Il ricordo di quella casa, dove Michelangelo riceveva Tommaso de’ Cavalieri, scriveva le sue rime struggenti o le lettere a Vittoria Colonna e si accaniva contro i marmi, è piuttosto un oblio irriverente alla sua figura.

Un ricordo affidato solo alle succitate serie di targhe in piazza della Madonna di Loreto, sul lato del palazzo delle Assicurazioni generali che guarda verso i Fori…e che pochi osservano.

Il vittoriano in costruzione circondato ancora dal tessuto urbano preesistente
Piazza Venezia irriconoscibile vista dalla torre di Paolo III: le case addossate alla collina del Campidoglio arrivano tra clivi e scale, passetti e cortili dalla cima alla piazza, il maestoso complesso del palazzpo Torlonia invade l’uscita di via del Corso e crea un vicolo col Palazzetto Venezia allora a 90° col palazzo via della ripresa dei Berberi), a destra in basso i vicoli bui dell’Alessandrino

 

Macerie in quel che erano i luoghi del qrande Maestro..la scusa di svelare i fori rase al suolo secoli di sovrapposizioni edilizie che da sempre sono la storia di questa città

 Demolita, spostata ed ancora demolita: La casa itinerante

Sul finire degli anni venti del XX secolo, credette di riconoscere la residenza riprodotta da queste immagini ottocentesche in una casa posta in via delle Tre Pile (civici 59-63), ipotesi pubblicata nel 1942 in forma di saggio.

In occasione della demolizione dell’edificio (1929-1930) dovuta all’allargamento della strada, una volta riconosciuto il pregio architettonico del prospetto di questa residenza chiaramente documentata nell’incisione seicentesca di Giovanni Battista Falda (cat. 38), ne furono smontati i pezzi che vennero in seguito ricomposti e ricollocati a opera dello stesso Penier su un muro cieco lungo la passeggiata gianicolense, presso la porta di San Pancrazio (1941).

L’edificio in questione era un palazzetto cinquecentesco costituito da una facciata a due piani, di cui il primo, al disopra di un lungo sedile si articolava con un ordine architettonico di lesene con capitelli dorici e trabeazione ionica inquadrante alternatamente nicchie e finestre con timpani semicircolari e rettangolari, mentre il secondo, concluso da un’alta balaustra, vedeva avvicendarsi, in corrispondenza delle aperture sottostanti, specchiature cieche e finestre incorniciate.

Attraverso l’analisi iconografica delle riproduzioni ottocentesche, ma in aperta contraddizione con la veduta di Falda, Penier sostenne che questo prospetto corrispondesse al fondale del cortile interno (visibile nelle raffigurazioni a partire da Uggeri) della presunta “casa di Michelangelo” di via delle Tre Pile, ricollocato in facciata della stessa abitazione dall’architetto Domenico Jannetti, tra gli anni settanta e gli anni ottanta del XIX secolo, a proprie spese.

È evidente che l’operazione di  restauro avrebbe implicato alcune significative alterazioni compositive e proporzionali poiché, come si evince osservando sia la planimetria della cosiddetta “casa di Michelangelo” descritta da Letarouilly sia il rilievo planimetrico dell’edificio di via delle Tre Pile datato 1871, non può esistere corrispondenza tra le misure del prospetto esterno e quelle del fronte del cortile interno (fig. 12).

Quel rilievo planimetrico fu pubblicato da Penier a sostegno della sua teoria e venne da lui ritrovato in allegato a un atto di vendita stipulato nel 1872 tra Benedetto Pellegrini, allora proprietario dell’edificio di via delle Tre Pile, e la Municipalità di Roma.

Nonostante Penier si ostinasse nell’indicare l’edificio come “casa di Michelangelo”, lasciando intendere che questa definizione venisse impiegata anche negli atti ottocenteschi, è da rilevare come, in un documento di ipoteca risalente al 1842, riguardante gli eredi di Filippo Invernizzi allora proprietari, questa abitazione non fosse mai indicata come tale.

È pur vero però che la planimetria del palazzetto di via delle Tre Pile corrisponde a quella di analoghi edifici sorti a Roma nel secondo Cinquecento e che, tratte le dovute differenze, potrebbe in qualche misura essere avvicinata anche alla planimetria della casa di Onorio Longhi della quale si è detto qual-che pagina avanti e che non contraddice una tipologia di residenza diffusa nell’isolato urbano di Macel de’ Corvi: quella “casa con fienile” al cui modello anche la “casa grande” di Buonarroti deve essere ricondotta.

Non si conoscono le ragioni per le quali Angelo Uggeri, forse avendo a mente il bel palazzetto dell’architetto Giulio Romano posto a breve distanza, identificasse in un più signorile palazzetto posto alle falde del colle Capitolino la residenza di Michelangelo.

Certo è che dovendo sceglierne una nella zona nella quale l’artista visse realmente, individuò un edificio la cui immagine architettonica di misurata compostezza, e stante l’evidente derivazione michelangiolesca dei dettagli architettonici, ben più aderisse alla figura di artista universale quale fu quella di Michelangelo Buonarroti.

La facciata della casa di Michelagelo, ricostruita alle falde del campidoglio in via delle Tre Pile

Eppure la maledizione contro quella «casa» non era finita: nel 1930 era d’intralcio agli sventramenti per la via del mare alla rupe tarpea , e venne ancora una volta smontata.

Ma non dispersa, forse per un curioso senso di colpa, se nel 1941 l’ingegner Adolfo Premier ottenne le autorizzazioni per ricostruirla ancora.

Demolizioni a via tor de specchi e liberazione delle case addossate al campidoglio per la costruzione della via del Mare, oggi via del teatro Marcello

 

Via tor de specchi e via delle tre pile, alla sinistra dei leoni della cordonata, prima delle demolizioni per la via del mare.

…Non tutta la casa certo, solo il prospetto della facciata. Il luogo venne identificato lungo la passeggiata del Gianicolo, là dove il viale coronato dalle erme risorgimentali sta per sfociare a Porta San Pancrazio.

Sulla destra, a cinquanta metri dalle mura, c’era un vecchio deposito idrico dell’AGEA (proprio con la «G», Agenzia Governatoriale Elettricità e Acque, antenata dell’Acea).

Quella facciata era perfetta per «coprire» il deposito e da allora sta lì, davanti al monumento a Ciceruacchio, con una ennesima targa: «Questa facciata della casa detta di Michelangelo, già in via delle Tre Pile demolita nell?anno MCMXXX fu ricostruita ad ornamento della passeggiata pubblica XXI aprile MCMXLI»

..Sono belle storie da raccontare, fatelo durante  la vostra prossima passeggiata al gianicolo.

Anni 30, si costruisce tra le mura i, un bacino idrico in cima al gianicolo per dispensare acqua ai rioni e quartieri limitrofi, l’ingresso è la facciata della prima foto, quel che rimane della storica residenza del Michelangelo.

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