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Piazza In Piscinula & S.Benedetto

Piazza in Piscinula è così denominata per l’antica presenza di uno stabilimento termale con vasche o piscine (piscinula è un diminutivo) delle quali Roma in passato era colma e che davano il nome a molte località, anche se poi l’appellativo rimase soltanto a questa piazza ed alla via omonima adiacente.

Sulla piazza, un angolo magico di antica memoria medioevale se non fosse ridotta a misero parcheggio, si affacciano le quattrocentesche Case Mattei , realizzate inglobando edifici del Trecento già di proprietà Mattei, un altro ramo della famiglia insediatosi intorno alla piazza Mattei.

Le tracce più antiche si rivelano nelle finestre centinate ed a crociera, nelle bifore e nel portichetto con una colonna medioevale ed una loggia.

L’edificio, frutto di sovrastrutture e modifiche attuate nell’arco di cinque secoli, fu scenario di una tragedia familiare nella quale vi furono assassinati ben cinque membri dei Mattei.

La famiglia è presente a Roma sin dal 1282 e si originò con un Matteo della famiglia Papi, dai quali ereditò per sé e la sua stirpe la carica di “guardiano de’ ponti e ripe”, con il compito cioè di mantenere l’ordine pubblico in tempo di sede vacante, qualificandosi quindi come famiglia filo-pontificia.

I primi Mattei, forse derivati da un Matteo de’ Papareschi, costruirono il loro palazzetto, ancora visibile con il loro stemma con lo scudo scaccato con la banda, prospiciente la…

…piazza in Piscinula, nei pressi degli argini del Tevere . Il luogo in passato era noto anche come Capocroce dei Mattei: inoltre nella vicina chiesa di San Benedetto è conservata la più antica sepoltura della famiglia.

Il palazzetto aveva funzione di controllo, perché la Gens Mattheia detenne sin dal 1271 e fino alla sua estinzione, la carica di Guardiano perpetuo dei ponti e delle ripe dell’alma città di Roma in Sede Apostolica vacante.

Questa imponeva, ogniqualvolta moriva un papa, di reclutare cento uomini dai loro possedimenti, vestirli di uniforme rossa (da qui i soldati rossi) e armarli al fine di custodire la Porta Portese.

Dava oltremodo accesso diretto sul lato del Vaticano, e il porto fluviale (ripa) di Ripa Grande, oltre a tenere sotto controllo il transito su tutti i ponti di Roma anche esigendone un pedaggio.

Nel Seicento, con la morte di Annibale e Maria Mattei, morti senza eredi, subentrarono i Della Molara, che dettero anche il nome ad una piazzetta antistante il palazzo, verso il Tevere, scomparsa con la costruzione dei muraglioni. Poi le case andarono in parte all’oratorio della Chiesa Nuova, in parte al duca Massimo come erede dei Della Molara ed in parte al marchese Origo.

La Piazza negli Anni 60-70

Nel 1870 l’edificio ospitò la “Locanda della Sciacquetta”, un termine poco glorificante visto che a Roma vi si indica una donnicciola, una servetta ma anche una sgualdrinella, ed infatti, probabilmente, fu proprio questa la destinazione d’uso della locanda.  

Ettore Roessler Franz ci ha lasciato tra i suoi acquerelli di una Roma che stava sparendo, anche molti scorci della piazza di allora, uno di questi peraltro sparì durante una esposizione a Berlino e mai fu più ritrovato, gli altri li potete godere al Museo di Roma in Trastevere  .  

Roesler Franz si avvalse della fotografia per molti dei suoi acquarelli, ne fu antesignano , lasciandoci così dei veri pezzi di Roma sparita in lastre d’epoca.

San Benedetto in Piscinula

Sul versante opposto della piazza si trova la chiesa di S.Benedetto in Piscinula sorta, secondo la leggenda, nel 543 sulle rovine della Domus Aniciorum (o casa degli Anici), una nobile ed antichissima famiglia romana alla quale sarebbe appartenuto anche S.Benedetto da Norcia (al quale infatti la chiesa è dedicata), che vi avrebbe risieduto durante il suo soggiorno romano nel 470.

Roesler Franz si avvalse della fotografia per molti dei suoi acquarelli, ne fu antesignano , lasciandoci così dei veri pezzi di Roma sparita in lastre d’epoca.

La struttura muraria ed alcuni capitelli della chiesa rivelano l’esistenza di un oratorio risalente al secolo VIII, dal cui restauro ed ampliamento, dopo il saccheggio di Roberto il Guiscardo del 1084, sarebbe poi nata la chiesa. Le prime notizie documentate risalgono al 1192 quando Cencio Camerario, nel suo Liber Censuum, la menziona come “San Benedetto de piscina”. Nel XV secolo fu restaurato il tetto ad opera dell’antica e nobile famiglia romana dei Castellani.

Nel 1678 fu rifatta la facciata ed ai lati furono costruiti il collegio di S.Anselmo, adibito ai Benedettini di passaggio a Roma, e l’ospedale fondato da don Lami e funzionante fino al 1726, ossia fino a quando Filippo Raguzzini, per incarico di Benedetto XIII, inaugurò l’Ospedale dedicato a S.Maria e a S.Gallicano: sia il convento sia l’antico ospedale sono scomparsi.

Nel 1825 papa Leone XII soppresse la cura parrocchiale e fu così che per un decennio la chiesa subì un tale abbandono che furono necessari ben due interventi di restauro: i primi nel 1835, i secondi, ben più consistenti, nel 1844, grazie alle sovvenzioni della famiglia Massimo.

I lavori, affidati all’architetto Pietro Camporese, videro il rifacimento della facciata con portale architravato, finestrone semicircolare e timpano

Il 21 marzo 1939, dopo la rinuncia al diritto di patronato della famiglia Lancellotti, la chiesa fu riaperta al pubblico e restaurata a spese del Vicariato di Roma. Dal 1941 al 2002 la chiesa fu sede di una comunità religiosa femminile, l’Istituto di Nostra Signora del Carmelo, ma dal 2003 il Vicariato di Roma ne ha affidato la custodia agli Araldi del Vangelo, un’Associazione Internazionale di Diritto Pontificio.

Bello e caratteristico il campanile, il più piccolo di Roma, che conserva anche la più antica campana di Roma datata 1069. Il campanile, in laterizio ed a pianta quadrata, è suddiviso in due piani da una semplice cornice a denti di sega, nei quali si aprono piccole bifore sostenute da una colonnina; frammenti marmorei di varia forma e colore decorano la facciata. Una seconda cornice separa i piani dall’attico soprastante, sopra il quale poggia il tetto dagli spioventi molto accentuati.

L’interno, a tre navate con colonne risalenti ai primi secoli dell’Impero, custodisce un pregevole pavimento cosmatesco in porfido e serpentino del XII secolo ed un dipinto del XIV secolo, posto sull’altare maggiore, raffigurante la Vergine con Bambino.

San Benedetto a 360 gradi

 

Santa Rita a san Benedetto

All’inizio del ventesimo secolo, le porte dell’antica dimora di San Benedetto rimanevano quasi costantemente chiuse; nella chiesa, diventata proprietà della famiglia Lancellotti, non si poteva più pregare.

Alcuni anni prima della Seconda Guerra, una signora del Trastevere, Elvira Iacomini-Ranaldi, si considerò miracolata da Santa Rita.

Infatti, dopo 16 anni di malattia, tanti ricoveri in ospedale e quattro interventi, avrebbe dovuto effettuarne un quinto, motivo per lei di naturale apprensione. Il 21 maggio 1938, trovandosi in un negozio di vini ed oli, in via San Cosimato, sentì un profumo di rose, per niente normale in questo genere di attività commerciale. La stessa notte lei ebbe un sogno: una suora sconosciuta, in abiti neri, la rassicurò, dicendole di affrontare il sopracitato intervento senza inquietudine.

Essendo stata operata, le trovarono nel corpo soltanto un rocchetto di filo lasciato durante l’ultimo intervento. Elvira, ebbe la convinzione del miracolo, perchè manifestava l’assenza definitiva della malattia, quindi ritenne che quanto accaduto fosse stato compiuto da Santa Rita, la santa degli impossibili, la quale l’avrebbe guarita poiché desiderava che la signora la aiutasse a incrementare sua devozione nel Trastevere.

Appena rimessa cercò i responsabili della chiesa di San Benedetto per riaprirla e farne un centro di devozione. Le chiavi li custodiva un frate Trinitario, della vicina parrocchia di San Crisogono, ma l’autorizzazione doveva venire del Vicariato di Roma. Ottenuto il permesso, acquistò una statua di Santa Rita e fu la prima cosa che entrò nel luogo sacro, aperto nuovamente al culto, nel 21 marzo 1939. Il 22 maggio fu celebrata, per la prima volta, la festa della Santa degli impossibili.

Fu anche fondata la “Pia Unione di Santa Rita” per agglutinare i devoti.

Poco dopo, il 21 marzo 1939, la famiglia Lancellotti rinunciò al diritto di Patronato e fu nominato un rettore che celebrava quotidianamente la Santa Messa aperta al pubblico.

Per la maggiore dignità e cura del luogo sacro arrivò, nel 1941, una comunità di suore, dell’Istituto di Nostra Signora del Carmelo, le quali esercitano fino ad oggi il loro servizio all’ Ospedale del” Frati Bene Fratelli”, nella vicina Isola Tiberina. La signora Elvira si occupò altresì del suo mantenimento, in collaborazione con i Frati Bene Fratelli.

Anche in tempo di guerra, di anno in anno, la chiesa si arricchì sempre più, grazie ai lavori svolti con le offerte dei fedeli dalla “Pia unione”; questa organizzava anche pellegrinaggi a Cascia, e – ancora oggi – festeggia il 22 di maggio, con Sante Messe, la recita della novena e distribuzione delle rose.

Dal 2003, la Pia Unione, collabora con gli Araldi del Vangelo per abbellire il tempio sacro.

Tratto dal sito di San Benedett

Così lo racconta il ns amico Fabio nel suo libro di cui c’è link a piè  di citazione:

” Fu così che er 21 Maggio der 39, in occasione der famoso giorno de le rose, quella chiesetta abbandonata e disastrata fu riaperta ar curto dei fedeli co ‘na prima benedizzione……. E’ così che dopo 80 anni de vita la devozzione trasteverina a Santa Rita ariva fino a i giorni nostri e diventa storia….” cit da Uno de Nojantri, cap. La chiesetta abbandonata, pag 43, ed Alpes Italia

Molto importante il piccolo oratorio, a pianta trapezoidale con volta a crociera impostata su quattro colonne dall’alto plinto con capitelli medioevali del secolo VIII, costruito, intorno al XIII secolo, nel lato sinistro del portico: si tratta della ben nota Cappella della Vergine.

L’altare , consacrato nel 1604 ed abbellito da una bella lastra in porfido di tipo cosmatesco, custodisce una Madonna con Bambino denominata Madonna della Misericordia, un affresco del Trecento particolarmente venerato perché si ritiene che qui davanti venisse a pregare S.Benedetto e dal quale ricevette l’invito di fondare il suo ordine. 

Da questo oratorio si accede in una cella molto angusta che la tradizione vuole sia stata la dimora ed il luogo di penitenza del giovane Santo, all’interno della quale vi è posta la seguente nota: “Questi mattoni, parte delle antiche mura sulle quali fu costruita la chiesa, sono i soli ruderi visibili della Domus Aniciorum, unici testimoni della presenza, intorno al 495 d.C., di un giovane di famiglia patrizia chiamato Benedetto, il quale si era recato da Norcia a Roma, secondo la consuetudine del tempo, per prepararsi alla carriera senatoria.

San Benedetto a 360 gradi

Da qui partì per Affile, città dove ebbe luogo il suo primo miracolo conosciuto. Raggiunse poi Subiaco, dove iniziò la sublime avventura contemplativa della famiglia benedettina, divenendo, così, per la posterità, il Santo e Glorioso Patriarca del monachesimo occidentale”.

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